L’impresa, il territorio e le logiche manageriali

cappello3Abbiamo sempre studiato l’impresa nei suoi rapporti con il territorio attraverso un approccio manageriale che ha nei fatti considerato il contesto territoriale come un puro e semplice “oggetto”, un terreno di conquista, una risorsa da sfruttare piuttosto che un fattore produttivo da interiorizzare, un qualcosa di cui appropriarsi attraverso atti di scambio commerciali ed emozionali per ciò che la relazione con quello spazio rifletteva per i contraenti. L’impresa capitalistica, quella distaccata, tecnica, calcolatrice e guidata da una tecnostruttura manageriale vicina alle proprie esigenze, piuttosto che a quelle della comunità di interessi che gravitano intorno ad essa, frequentemente si è appropriata delle risorse di un territorio, per poi abbandonarlo quando queste si erano esaurite, oppure quando il territorio nel suo progredire richiamava maggiori attenzioni introducendo crescenti vincoli all’azione dell’impresa o, comunque, quando, per una ragione o per un’altra, si presentavano altrove condizioni più favorevoli.

Come dire che produrre in un’area o in un’altra non fa differenza alcuna; come dire che il solo fine dell’impresa è la massimizzazione del profitto; come dire che il processo decisionale deve fondarsi sul breve periodo, quello delle trimestrali di bilancio, piuttosto che su un orizzonte che trascende le vicende delle singole persone.

Ed è così che la teoria della sostenibilità (cioè l’agire per la ricostituzione delle risorse che si usano) concetto oggi tanto diffuso e tanto sbandierato come vessillo della correttezza manageriale, si trasforma in una semplice copertura culturale, un concetto pieno di vuoto, alla stregua della teoria degli stakeholder, vissuta dall’impresa capitalistica manageriale per nascondere l’intimo pensiero del business, che come tale riconosce un unico e vero protagonista: il capitale.

Purtroppo è a questo tipo di impresa che sono ispirate le tecniche manageriali provenienti da oltre oceano sulle ali di prestigiose Business School. Quelle tecniche e quelle logiche delle quali ci siamo nutriti e alle quali abbiamo in qualche modo asservito il nostro pensiero, abdicando alla nostra fondante identità culturale in campo economico aziendale e avvicinandoci con soggezione e timore reverenziale al luccicante mondo della lingua inglese, meglio sarebbe dire statunitense, che colonizza il pensiero manageriale fondato su altri linguaggi, relegandolo in una diversità che perde l’orgoglio di sé e osserva timidamente l’avanzare dell’omologazione e della subalternità culturale.

Il territorio è la sede della memoria culturale delle generazioni che l’hanno attraversato, vissuto, costruito a volte distrutto, poi ricostruito e comunque modificato; un patrimonio di storie, unico e irripetibile. Un forziere di valori, conoscenze, cultura, arte, spesso invisibili, perché sepolti sotto una spessa coltre di polvere, prodotta dalla velocità imposta da un “fare” che impedisce di “agire” e pensare il futuro con piena consapevolezza di sé.

Il territorio vive e si modifica sulla base delle imprescindibili relazioni che si realizzano tra i soggetti che lo compongono e che lo trasformano continuamente, rendendolo posto unico e irripetibile, con un’anima. Sono il campo di gioco in cui si realizza la sfida creativa, è il luogo ove l’innovazione si forma, o non si forma, in relazione al suo caratterizzarsi per un’atmosfera creativa, connessa alla presenza di una qualità della vita costellata da arte, utopia, sogno, umiltà, curiosità, diversità, che disarticolano il pensiero smontandone le forme consolidate e lo aprono al mondo e agli entusiasmi dell’innovazione e del cambiamento.

L’impresa resta un’àncora fondamentale per la tenuta del tessuto sociale, oltre che economico. Soprattutto in momenti di crisi come quello che stiamo attraversando. A chi fa impresa nel rispetto delle regole e con l’obiettivo di costruire qualcosa di duraturo, deve andare il rispetto e l’incoraggiamento di tutti, a partire dalle istituzioni. Siamo una regione che ha tutte le carte in regola per mantenere alto il proprio prestigio nel mondo a partire dalle proprie produzioni di qualità, dalla creatività diffusa, dalla capacità di innovare. Tutte doti che si ritrovano nelle nostre imprese, anche le più piccole, a cui bisogna dare fiducia e strumenti per crescere e competere.

A. Mautone