Postiamo sul ns blog-magazine questo interessante articolo pubblicato su Corriere delle Sera del 4 giugno 2012
Ma per non arrivarci dobbiamo andare al fondo del nostro disagio, capirne le ragioni intime, liberarci di confortevoli e fallaci modi di pensare, di ideologie
Non è difficile capire il perché di questo torpore venato da incubi che ci avvolge. Le generazioni nate dagli anni della guerra in avanti, cioè praticamente tutte quelle oggi esistenti – tutti noi, senza eccezioni -, hanno (abbiamo) avuto la ventura di vivere il più formidabile balzo, il più forte e rapido incremento di ricchezza nell’intera storia dell’umanità. Non ce ne siamo resi conto. Questo spettacolare ritmo di crescita è apparso non come un evento eccezionale, ma, essendoci nati e vissuti dentro, come la normalità, come la semplice evidenza della realtà. Non avendo mai conosciuto altro, abbiamo pensato che la legge del «di più di tutto» (non del casalingo «di tutto di più» della Rai) fosse una legge di natura. La crescita, e il suo spettacolo, è diventata emblema, bandiera, religione. Il fatto che ora vistosamente vacilli ci sbigottisce.
In realtà, in un segreto angolo della mente continuiamo a coltivare la speranza che anche questa sia solo una delle decine di crisi che si sono susseguite, praticamente senza soluzione di continuità, dagli anni Sessanta in avanti. Riti penitenziali celebrati con compunzione e alti lamenti mentre i redditi salivano, si aprivano nuove imprese e i soldi correvano. Raffreddori diagnosticati come broncopolmoniti. Questa volta è diverso: ci spiegheranno poi se è finito un ciclo o cos’altro è successo, ma sta di fatto che non torneremo più come prima, con la stessa ingenua voracità, con la stessa inconsapevolezza. Ed è inutile strologare su quando ci sarà la ripresa, se tra sei mesi o un anno o due o tre. Ci sarà, probabilmente, ma non ci ridarà tal quale il mondo in cui abbiamo vissuto. Il che non vuol dire che ci si debba iscrivere tra i fautori della decrescita, questa sorta di taglio lineare su scala cosmica, in realtà un altro espediente consolatorio, un altro modo per eludere le scelte. Perché invece il punto è proprio questo, le scelte e la necessità di compierle.
Finita l’infanzia felice del «di più di tutto», non ci ritroviamo per questo nella catastrofe, non camminiamo su una strada grigia sotto un cielo grigio in un paesaggio di cenere come il protagonista d e La strada di Cormack McCarthy. Al contrario, entriamo nel mondo del qualcosa di più e del qualcosa di meno, un mondo più sottile e più intelligente di quello cui siamo abituati, un mondo fatto di scelte, appunto. Ma che cosa di più e che cosa di meno? Ebbene, questo è il terreno proprio della politica o per meglio dire della proposta politica.
Le forze politiche, se volessero riguadagnare la grandezza e la nobiltà di questo nome, dovrebbero spiegare e motivare con chiarezza che cosa vogliono promuovere, dove vogliono investire, dove vogliono che il Paese cresca. E parimenti – ma con maggior puntiglio – che cosa invece intendono posporre, ridurre, eliminare. Rifuggendo, se possibile, da miracoli, taumaturgie, eldoradi e paradisi. È ora di svegliarsi. È ora di buttar via i dolcificanti, di riassaporare il gusto aspro della verità.
Fonte: Corriere delle Sera – Opinioni
4 giugno 2012
Gian Arturo Ferrari