La necessità di una strategia per lo sviluppo dei territori della provincia nord est di Napoli.

Chi è nato subito dopo la seconda guerra mondiale è stato un privilegiato, ha potuto contare su una generazione attenta e piena di energie, capace di rimboccarsi le maniche per rimettere in ordine paesi e città con il pensiero rivolto al futuro.

Federico-Patellani-Dopoguerra-Milano-1945

Noi che siamo nati alla fine degli anni ’60 abbiamo respirato un clima accogliente, generoso, prodigo di consigli, abbiamo imparato ad avere un rapporto chiaro con i più grandi, basato soprattutto sul rispetto reciproco. Si respiravano fiducia e speranza. Tutti si sentivano impegnati nel riconoscimento e nella difesa di valori fondamentali, al di sopra dei quali c’era una famiglia coesa, solidale, capace di seminare rispetto e attenzione, capace soprattutto di far passare principi e valori che diventavano il perno su cui avvitare l’esistenza. Ci si sentiva sicuri, protetti e il mondo che ci ruotava attorno cercava di gettare le basi per una solerte crescita civile. La qualità consisteva proprio nella capacità di mettere in pratica regole che i grandi ci inculcavano e di cui pretendevano il rispetto. I problemi esistevano anche allora, ma il clima generale era di condivisione. La stessa politica, molto variegata e ideologicamente preparata, dava l’impressione di sviluppare una proficua dialettica filosofale, cercando di realizzare quei principi costituzionali di cui la società italiana era espressione. E’ sulla qualità della presenza civile che si giocavano le risorse umane, per realizzare quella speranza di libertà che era costata milioni di vittime e sacrifici ingenti. Rispolverare la nostra storia unitaria significa ripercorrere le tappe di un cammino sul quale abbiamo costruito la nostra civiltà. Si tratta di una storia alla quale tutti indistintamente hanno dato il loro contributo e nella quale si sono distinti uomini di cultura, politici, religiosi, letterati e poeti, artigiani e semplici operai. Si è verificato il grande miracolo della italianità, nato da anni di grandissimi sacrifici, dalla volontà di dare una risposta costruttiva a varie forme di subalternità e schiavitù subite nel corso del tempo. Si è cercato di costruire un’identità vera e forte, capace di infondere fiducia e speranza nei cittadini. Per molti anni il cuore e la mente degl’italiani hanno lavorato per costruire un paese che fosse finalmente in grado di dimostrare al mondo di che pasta eravamo fatti. Sono rinate città e paesi distrutti dalla guerra, i monumenti sono diventati la bandiera sulla quale rifondare l’amore per una nazione per troppo tempo vilipesa dalle tirannie europee. Sembrava tutto definito, sembrava che nella nuova rinascita ci fosse il segreto di un’identità riconquistata, ma il tempo ha dimostrato ancora una volta la fragilità della natura umana. E’ finita l’epoca dei nazionalismi? Oggi si parla e si ragiona in grande, come se le piccole cose fossero diventate troppo piccole per poter disporre di un loro spazio vitale. Mentre la forza di coesione sociale perde via via il suo potere contrattuale, ci si trova immersi in situazioni paradossali, che non hanno nulla o quasi di umanamente e politicamente corretto.

La disuguaglianza distributiva della ricchezza e del reddito, che in tutte le società capitalistiche separa una ristretta minoranza dal resto della popolazione, nei nostri territori tocca punte altissime. InequalityTuttavia, sappiamo che non è possibile separare nettamente la politica dalla economia; esistono nessi profondi tra politica ed economia, ovvero la descrizione degli effetti negativi del circolo vizioso che tali nessi alimentano ed amplificano; ciò perché un aumento della disuguaglianza economica si traduce in una crescente disuguaglianza politica, mentre un aumento di quest’ultima aumenta ulteriormente la prima. Sui nostri territori tutto questo non succede. Con l’aumento della disuguaglianza economica si rafforza sempre di più il sistema politico che decide le sorti dei cittadini e del territorio. Sembra di vivere sospesi nell’aria. I dati sono impressionanti, la maggior parte dei nostri  giovani che non frequentano le sale slot, non lavorano in “nero” e non vogliono diventare “schiavi” dell’ imprenditore e del professionista locale senza scrupoli scappano dal territorio. La cattiva gestione della economia del nostro territorio è sempre stata disponibile a soddisfare gli interessi delle minoranze che detengono la maggior parte della ricchezza accumulata e che catturano la maggior parte del reddito prodotto. In questo modo si riesce facilmente ad acquistare consenso elettorale e ritornare di nuovo in sella…magari sostituendo il cocchiere di turno.

La base della piramide sociale è diventata troppo debole per trainare con il consumo la crescita economica; in secondo luogo, a causa dell’erosione del potere d’acquisto, le famiglie della base della piramide sociale, non sono più in grado di investire nel loro futuro; inoltre, la contrazione della quota del reddito prodotto dalla parte più povera del sistema sociale limita il gettito fiscale; infine, la disuguaglianza procede di pari passo con più frequenti cicli economici, che rendono incerti ed instabili la crescita e lo sviluppo. Le strategie di crescita e sviluppo non possono essere conseguiti attraverso il solo innalzamento del prodotto interno lordo ma devono essere inclusivi ed arrecare benefici alla maggioranza della popolazione. Devono essere perseguiti attraverso il potenziamento della protezione sociale, considerato che nelle economie moderne le iniziative dei cittadini comportano l’assunzione di rischi che i singoli non possono assumersi, se non sono adeguatamente protetti.

La politica in questi ultimi anni si è arresa al neoliberismo, sacrificando e distruggendo tutto ciò che la cosiddetta “economia mista” aveva assicurato al sistema sociale italiano: crescita, sviluppo, Stato sociale, inclusione e solidarietà, della cui perdita si lamentano oggi gli esiti negativi. Bisogna che i comuni del territorio investono le poche risorse disponibili in progetti di incubazione d’impresa, di riqualificazione di aree territoriali dismesse per attirare investimenti, nella valorizzazione e la salvaguardia delle aree interne del territorio soggette a fenomeni di spopolamento; allo sviluppo di particolare forme di cooperazione per la promozione delle vendite di prodotti locali; di favorire lo sviluppo, l’innovazione e la diversificazione delle PMI commerciali, in considerazione della funzione sociale che esse svolgono ai fini della creazione del reddito, dell’occupazione, della ricchezza. In realtà si tratta di avere una nuova visione di sviluppo, un nuovo modo di produrre ricchezza che non sia solo ed esclusivamente attraverso il settore edilizio.

Per fare questo c’è la necessità di introdurre nuove figure professionali all’interno dell’amministrazioni comunali in grado di gestire lo sviluppo seguendo un preciso piano di marketing territoriale. Non abbiamo bisogno di assessori e consiglieri comunali imprenditori di loro stessi e delle loro attività ma di esperti gestiti da manager. Mettere a confronto imprenditori e rappresentanti amministrativi, residenti e stakeholder, per concertare un piano che tenga conto, da una parte, di quelle che sono le effettive possibilità di realizzazione, con tutti i limiti e le barriere burocratiche, legislative e amministrative del caso (ossia la pubblica amministrazione) e, dall’altra, quelle che sono invece le esigenze di coloro che sul territorio devono produrre, gestire e commercializzare.

Antonio Mautone
Presidente Agenzia Laboratorio 51